Al pensionato con quota 100 che ha svolto un minimo lavoro subordinato non può essere sospesa e chiesta in restituzione la pensione.

Il caso

Un pensionato che aveva cessato l’attività lavorativa usufruendo della cosiddetta “quota 100” si vedeva trattenere dall’INPS l’intero importo maturato a titolo di pensione nel 2023 (pari ad oltre 65.000,00 euro). Tale decisione unilaterale veniva giustificata dall’Ente previdenziale sulla base del fatto che il pensionato era stato assunto come dipendente per tre giorni, tra gennaio e febbraio 2023, percependo un reddito di € 84,88.

A seguito del rigetto del ricorso amministrativo il pensionato, privo di altri redditi, si vedeva costretto ad adire il Tribunale del Lavoro di Verona in via di urgenza.

Il quadro normativo

L’art. 14 del D.L. 4/2019, convertito con modifiche dalla convertito con modificazioni dalla L. 26/2019, ho introdotto per il triennio 2019-2021 la pensione anticipata (cd quota 100-101-102) consentendo di accedere al trattamento pensionistico a lavoratori con almeno 62 anni di età e 38 anni di contributi e specificando, al comma 3, che tale trattamento “non è cumulabile, a far data dal primo giorno di decorrenza della pensione e fino alla maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia, con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5.000 euro lordi annui”.

Nulla dice, dunque, la norma sull’eventuale conseguenza sanzionatoria della violazione del precetto in essa contenuto.

L’INPS, tuttavia, interpreta la disposizione in esame nel senso che la percezione di un qualsiasi reddito da lavoro dipendente da parte del “pensionato quota 100” comporti la sospensione della pensione per l’intero anno di percezione del reddito con conseguente integrale recupero di quanto già erogato dall’Ente.

La decisione

Con ordinanza del 12.03.2024 il Giudice del Lavoro del Tribunale di Verona, dott.ssa Cristina Angeletti, accogliendo il ricorso del pensionato, ha ritenuto illegittima l’interpretazione dell’INPS, condannando quest’ultimo a restituire al ricorrente gli importi finora trattenuti detratto unicamente l’importo percepito quale reddito per i tre giorni di lavoro subordinato.

Con un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 14, il provvedimento evidenzia come “non è ragionevole ammettere la parziale cumulabilità fra lavoro autonomo e trattamento pensionistico, ponendo come limite l’importo di € 5.000,00 annui ed imporre la restituzione dell’integrale trattamento pensionistico nell’ipotesi in cui il pensionato svolga un’attività di lavoro dipendente acquisendo redditi anche di poche migliaia di euro” e valorizza la circostanza che la norma in esame non preveda, nemmeno implicitamente, la sanzione applicata dall’INPS.

Secondo il Tribunale scaligero, dunque, il divieto di cumulo genera sì un indebito ma solo per un importo pari a quanto effettivamente percepito come reddito di lavoro e non equivalente all’intera annualità pensionistica.

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